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Santosa: l'arte della felicità
Scritto da Elena Cassinelli il 24 Febbraio 2020
Dopo Sauca, la purezza, il secondo degli Niyama è Santosa (a volte anche scritto Santosha).
Santosa viene spesso tradotto come contentezza, appagamento, gratitudine o come l’arte dell’essere felice.
Santosa significa quindi nel non ricercare niente di più di ciò che è strettamente necessario per vivere e trovare soddisfazione in tale condizione. Significa essere felici e soddisfatti senza un motivo preciso; è una contentezza profonda e permanente, una gioia senza oggetto.
Santosa nel quotidiano
Viviamo nella società dei consumi, dei desideri, della soddisfazione materiale. Ed è proprio il desiderio e l’attaccamento ad esso che crea infelicità. Se desideriamo avere un tale lavoro, guadagnare X, avere il telefono nuovo, ecc, e siamo attaccati al nostro desiderio tanto da identificarci con esso, nel momento in cui tale desiderio non viene soddisfatto sopraggiunge l’infelicità e il senso di inadeguatezza, da cui derivano rabbia e frustrazione.
Imparare a essere felici di ciò che si è e di ciò che si ha è una grande conquista per la nostra vita. Ci permette di provare, forse per la prima volta nelle nostre vite, la pace mentale.
Santosa, tuttavia, non si applica solo alla sfera materiale, riguarda anche la nostra persona. Dobbiamo imparare a bastarci, capire che siamo abbastanza. Anche se il nostro corpo non corrisponde ai corpi delle modelle, se a volte siamo di cattivo umore, se non siamo perfetti, se non conduciamo la vita perfetta… va bene così!
Come mettere in pratica Santosa, quando i nostri sensi sono continuamente bombardati e stimolati? Una strada è sicuramente quella della meditazione. Un’altro esercizio che possiamo mettere in pratica è di tenere un “diario della gratitudine“. Ogni sera prima di andare a dormire, scriviamo sul nostro diario tutto ciò di cui siamo grati per la giornata appena passata. Scopriremo che i primi giorni, settimane, faremo molta fatica a trovare qualcosa di cui gioire. Con il tempo osserveremo che sarà sempre più facile trovare avvenimenti di cui essere grati. Ogni due-tre mesi rileggiamo le pagine del nostro diario e ci renderemo conto che le cose di cui siamo grati sono le più semplici.
Santosa sul tappetino
La contetezza possiamo provarla ogni volta che decidiamo di praticare Yoga. Lo Yoga non è uno sport, né una disciplina competitiva. Quando pratichiamo, dobbiamo farlo senza aspettative né obiettivi.
Integriamo la pratica di Santosa quando non ci approcciamo al nostro corpo in maniera aggressiva e violenta, quando accettiamo che certe posizioni non sono alla nostra portata e va bene così. Se invece forziamo il corpo in determinate posizioni, assumiamo un atteggiamento violento e di non accettazione. Accettiamoci così come siamo, con i nostri limiti, i nostri difetti. Utilizziamo gli asana non per cambiare il nostro corpo, ma per cambiare l’atteggiamento mentale verso il corpo. Ciò che conta non è portare la gamba dietro la testa, ma sentirsi bene con sé stessi sempre e comunque. E se ci saranno giorni in cui non ci sentiamo bene con noi stessi, non colpevolizziamoci.
Quando soddisfiamo un desiderio dettato dall’ego, il piacere che ne deriva è effimero. Se impariamo a guardarci dentro e a far chiarezza, pensando a ciò che desideriamo realmente, spogliandoci delle convinzioni sociali e culturali, scopriamo che abbiamo già tutto ciò di cui abbiamo bisogno e che la felicità è dentro di noi.
Namastè.
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