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Il terzo Yamas: Asteya

Scritto da Elena Cassinelli il 03 Maggio 2019

L’Asteya è il terzo degli Yamas, o virtù indicate nel percorso dello Yoga in otto principi definito da Patanjali.

«Quando si è fermamente stabiliti nell’onestà, ogni specie di gemma si presenta (allo yogi)»

Yogasutra 2,37

Asteya: non rubare

Letteralmente Asteya significa “non rubare“, tuttavia il significato di questa virtù va al di là della semplice appropriazione indebita di qualcosa che non ci appartiene. Infatti, il termine si riferisce anche a non desiderare di appropriarsi di cose altrui.

Il concetto del “non rubare” si estende anche al di là degli oggetti materiali: non solo non dobbiamo appropriarci (o desiderare) gli oggetti o il denaro altrui, ma anche del loro tempo e delle loro risorse. Nella vita quotidiana questo si traduce nella pratica di una vita controllata e non dedita agli accessi: il consumo eccessivo di risorse naturali o l’acquisto smisurato di beni materiali si traducono in una tipologia di furto. Infatti, quando acquistiamo qualcosa di cui non abbiamo veramente bisogno stiamo togliendo l’opportunità dell’acquisto ad un’altra persona (indipendentemente dall’offerta del prodotto, che può essere carente o no).

Asteya e l’accettazione incondizionata del Sè

Il desiderio di appropriazione spesso è la causa della nostra sofferenza. Quando le persone o le cose diventano oggetto del nostro desiderio di appropriazione,  sviluppiamo senso di attaccamento e aspettative che ci distolgono da ciò che conta realmente: accettare gli altri (e noi stessi) per quello che siamo.

Quando ammiriamo un panorama o il cielo stellato, non desideriamo appropriarci delle stelle, degli alberi, del mare o delle montagne. Semplicemente li ammiriamo, essendo grati per poterne godere. Li osserviamo in maniera disinteressata, senza volerli cambiare o possedere.

Ciò non accade quando, invece, sviluppiamo il desideri di possedere qualcosa/qualcuno. In questo caso la nostra mente tende a classificare l’oggetto del desiderio in un ruolo.  Non accettiamo più la persona per quello che è, ma per quello che dovrebbe essere caricandola di aspettative che, quando vengono a mancare, creano in noi sofferenza e frustrazione.

Lo stesso meccanismo lo mettiamo in atto con noi stessi: ci identifichiamo un con ruolo che sentiamo nostro (genitore, moglie, fratello, insegnante, ecc) generando aspettative su noi stessi. Non appena ci discostiamo dall’ideale che ci siamo creati per noi stessi, smettiamo di accettarci.

In questo senso Asteya significa essere grati per ciò che noi siamo veramente, senza caricarci di ruoli culturalmente imposti, e accettare gli altri per quello che sono, senza desiderare di cambiarli per adattarli alla nostra visione della vita o a un ruolo imposto dalla società

Namastè.

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Image via http://harlemyogastudio.com